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Musei
Il Museo di Storia della Medicina è stato inaugurato, presso l’originaria sede dell’Ospedale di Cattinara, il 4 Marzo del 2010 alla presenza delle autorità. Con l’inaugurazione, e grazie all’intervento Rotary Club Muggia, della Fondazione Katleen Foreman Casali, e all’intervento della Fondazione Beneficentia Stiftung Vaduz, oltre alla collaborazione di SmaTS e dei Musei Civici, è stato reso attivo il Museo delle Scienze Sanitarie di Trieste, che affonda le sue radici nell’Impero Austro-Ungarico.
Pur essendo di piccole dimensioni, la neonata raccolta storica, soddisfa la sentita necessità del personale sanitario di recuperare le robuste radici della tradizione Medica Triestina, grande e multietnica città dell’Impero Austro-Ungarico, nella quale i contributi culturali della celebre medicina mitteleuropea di Graz si fondevano inevitabilmente con quelli della scuola di Padova. Il quadro d’insieme che deriva dall’osservazione dei tanti reperti, pazientemente catalogati dal prof. Ponte e dal dott. Nicotra, e pertinenti a diverse specializzazioni, è l’immagine della Medicina di Trieste dal 1840 a metà del XX secolo.
La proprietà è dell’Azienda Sanitaria Universitaria Integrata di Trieste (ASUITs)
Inizialmente la raccolta storica era costituita da una raccolta di oggetti suddivisi per ramo specialistico ed era considerabile come una raccolta di oggetti stabile, nel senso che non si dava un’alternanza agli oggetti da esporre. Nell’anno 2015, dopo alcune riunioni alla presenza del Commissario Straordinario di AOTS, dott. Nicola Delli Quadri, e del Direttore del Dipartimento di Scienze Mediche, il prof. Roberto Di Lenarda, si è ritenuto di voler trasformare il Museo Di Scienze Sanitarie in una serie di mostre che si alterneranno durante l’anno. L’alternanza delle mostre a tema permetterà di dare luce alla copiosa quantità di reperti attualmente siti al deposito museale dell’Ospedale maggiore.
La prima delle mostre presentate al pubblico riguarda la storia del triage durante la prima guerra mondiale.
La storia di Trieste enumera diversi episodi di occupazione militare e ciò ha naturalmente lasciato traccia anche nell’allestimento del Museo. In quest’ottica, in occasione del ricollocamento del Museo di Storia della Medicina presso l’Ospedale Maggiore comporta anche una concezione più dinamica del Museo, le cui vetrine sono collocate in un luogo di forte passaggio e periodicamente saranno allestite su argomenti diversi di storia della medicina, rinnovando così l'offerta museale al pubblico.
La prof.ssa Vanessa Nicolin, ha curato l'allestimento dei materiali espositivi al Polo Tecnologico dell'Ospedale Maggiore di Trieste, con strumenti originali, reperti, fotografie d'epoca che raccontano il primo soccorso sul campo della Grande guerra, ma anche la storia dell'anestesiologia e della disinfezione. Ha ricostruito una trincea carsica, con simulazioni dei primi avamposti medici di soccorso, di quelli di secondo e di terzo grado e della strumentazione usata negli ospedali. Tra gli strumenti non solo barelle e bisturi, ma anche magneti per rimuovere le schegge delle granate e un'apparecchiatura radiologica avanzatissima per i tempi in cui Marie Curie, che aveva ottenuto il Nobel nel 1911, girava i campi di battaglia come radiologa dei soldati feriti, continuando le sue ricerche e formando medici e infermieri.
Oggetti di particolare interesse esposti nella mostra:
INSEGNA DELL’OSPEDALE CIVICO
L’esposizione si apre sotto l’antica insegna del Civico Ospedale, manufatto in lamiera di ferro dipinta di discrete dimensioni, realizzata da A. Ruzzier, che ha firmato la sua opera. La datazione risale al 1841 quando l’ospedale era di gestione statale, quindi probabilmente denominato Imperial-Regio Ospedale Generale.
LA BARELLA
Il destino dei feriti che non venivano lasciati agonizzanti sulla scena della battaglia, era segnato dal tipo di trauma. Le lesioni addominali, ad esempio, comportavano una mortalità praticamente certa. I chirurghi per lo più evitavano di intervenire perché consideravano i feriti ormai perduti a causa dello shock tossico e delle emorragie a seguito delle lesioni dei grandi vasi che seguivano frequentemente la perforazione del ventre. Le ferite al torace erano relativamente considerate più facili perché comportavano la mortalità soltanto del 20% circa degli operati. Le ferite alla testa comportavano fratture, emorragie spesso dovute alle esplosioni che causavano forti compressioni craniche. Il piombo delle armi da fuoco produceva, nel migliore dei casi, dei fori cranici passanti (di entrata e di uscita del proiettile) ma il 50% dei feriti, secondo le statistiche, era in grado di sopravvivere.
TRIAGE SUL CAMPO
Sul campo da battaglia, in prima linea, avveniva la classificazione dei feriti, distinguendone la gravità.
Codice bianco: ferito leggero, da gestire in loco.
Codice verde: ferito grave, da trasportare all'ospedale del campo.
Codice rosso: ferito tanto grave da lasciar morire perché non trasportabile.
I feriti trasportati a braccio, in barella, a dorso di mulo arrivavano al campo per poi essere, eventualmente trasferiti presso l'ospedale di retrovia e da qui, seguendo la gerarchia della necessità del caso, presso l'ospedale di riserva. Il ferito sopravvissuto alle prime cure poteva poi raggiungere con autocarro o, nel caso più fortunato, con ambulanza gli altri ospedali per proseguire il trattamento sanitario. I cosiddetti ospedali d'armata nelle retrovie erano dotati di sale chirurgiche, di sterilizzatrici ad autoclave.
POSTO DI MEDICAZIONE
Prima Tappa: vicino alle trincee vi erano i Posti di Medicazione o di soccorso, in genere uno per battaglione, dove si prestavano le prime cure ai bisognosi, affiancati in montagna da piccole infermerie. In queste strutture avveniva la prima classificazione dei feriti secondo un codice colore (bianco: ferito leggero – verde: ferito grave ma trasportabile – rosso: ferito grave non trasportabile, quindi da lasciar morire): né più e né meno di quello che accade nei nostri attuali Pronto Soccorsi. I medici erano dotati di una attrezzatura minima: garze, alcuni strumenti chirurgici, grappa e cognac come anestetico, morfina per alleviare il dolore ai feriti più disperati, quando disponibile.
Con la scoperta dei raggi X e con il loro utilizzo in campo medico, si sono aperte frontiere applicative che hanno visto i radiologi italiani diventare protagonisti in ambito internazionale nel lunghissimo periodo bellico che, dalla fine del XIX secolo al secondo conflitto mondiale, ha permesso di ottenere da parte del personale addetto, numerosi riconoscimenti militari e civili.
Le figure del medico radiologo, del tecnico di radiologia e del fisico sanitario non erano ancora professionalmente riconosciute e distinte nei primi importanti conflitti mondiali ed il personale era reclutato in ambito sanitario, fisico, ingegneristico ed applicativo. Spesso ad occuparsi dell’istallazione e del funzionamento delle apparecchiature radiologiche ancora rudimentali, erano militari che appartenevano al Genio, settore Comando e Servizi, oppure a quei reparti di sostegno paragonabili a qualunque servizio odierno di manutenzione. Il loro compito riguardava l’installazione materiale delle strutture mobili o fisse, il funzionamento delle “celle fotovoltaiche” e la vera e propria assistenza al ferito, unitamente alle volontarie della Croce Rossa ed al personale medico nel periodo in cui i radiologi si chiamavano ancora Medico Elettricista oppure Roentgenologo.
Ultimo aggiornamento: 23-05-2024 - 11:28